Scheda sull’Area della salute mentale ( psichiatria, neuropsichiatria infantile, servizi per le dipendenze).
In premessa va ricordato come la definizione di salute mentale sia estremamente complessa e controversa. Ancora più complessa la definizione della malattia mentale che varia a seconda delle epoche e delle culture. Penso sia opportuno ricordare la definizione di salute mentale data nella conferenza di Helsinki dall’organizzazione mondiale della sanità: la salute mentale va intesa come un sufficiente stato di felicità soggettiva. Questa definizione mette in discussione fortemente una definizione di malattia mentale basata sul concetto di diversità o normalità, ma mette in rilievo il concetto di disagio, di sofferenza legata ai sintomi di una malattia di cui ancora a livello di sviluppo della scienza si ha difficoltà a definire l’eziologia, in parte si l’definisce eziopatogenesi, indica trattamenti che sono validati solo dall’osservazione empirica.
Definire quindi quali siano i servizi giusti è estremamente complesso, più utile invece è definire quelli che sono i servizi non giusti. Citando il pensiero di Franco Basaglia, conviene mettere tra parentesi il sapere psichiatrico e ricercare invece il sapere pratico. La definizione quindi dei servizi giusti non è riferibile a un criterio morale, che discrimini come anormali dei comportamenti in quanto inaccettati da una comunità, ma piuttosto dei criteri etici centrati sulla libertà di ognuno di noi, nel confronto del rapporto con la nostra comunità.
Potremmo dire quindi i servizi giusti sono quelli che non fanno cose sbagliate, come privare della libertà una persona, stigmatizzarla, abbandonarla da sola alla sua sofferenza, non riconoscere il portatore di disagio psichico come titolare di diritti in primo luogo quello di cittadinanza.
Se andiamo a definire quali sono i servizi che attualmente in Italia si occupano di disagio psichico dobbiamo articolare tra tre tipologie: i servizi salute mentale(di cui fanno parte i servizi psichiatrici) i servizi delle dipendenze, quella parte della neuropsichiatria infantile che si occupa di disagio psichico del minore.
Altro elemento asseverato e che il disagio psichico si articoli su tre punti, biologico, psicologico e sociale che quindi i servizi che si occupano di questo tema devono essere in grado di dare risposta su tutte tre i punti.
Sempre citando il pensiero di Franco Basaglia: non si esportano modelli ma si applicano metodologie. Questo significare che ogni comunità necessita di un intervento di salute mentale che sia sintonico con la situazione economica, sociale, culturale di quella comunità, sfruttandone le risorse di quella comunità per la tutela del paziente definito come soggetto fragile.
Nella metodologia della comunità terapeutica, quindi, concorrono al trattamento e hanno titolarità di decisione tutti gli stake holders, i pazienti, i familiari, gli amici, gli operatori, e quanti altri, mentre il ruolo del servizio è quello della governance, della presa in carico globale, della gestione delle contraddizioni.
Per quanto riguarda il Veneto, nel programmare e nell’organizzare i servizi territoriali alternativi alle istituzioni totali, che prima contenevano indistintamente le tre aree di bisogno, la scelta fu di articolarle separatamente con forti caratteristiche identitarie, sia sul modello organizzativo sia sugli approcci tecnici, nell’idea di rompere il contenitore manicomiale indiscriminato, motivato essenzialmente dal controllo sociale e non dall’idea di cura.
I tre servizi, in veneto, si sono sviluppati in modo fortemente autonomo trovando contatto solo conseguentemente allo sviluppo sempre maggiore di patologie condivise, (tossicodipendenza collegata a malattia mentale, in età evolutiva, passaggio dal servizio per minori a quello di psichiatria ecc.) e negli ultimi anni hanno cercato di regolare le loro sinergie grazie al sistema di protocolli e procedure.
In questo contesto i servizi per la dipendenza e quelli della neuropsichiatria infantile si sono situati all’interno dei distretti, mentre il dipartimento di salute mentale, con caratteristiche strutturali ha mantenuto una diretta dipendenza dalla direzione sociale.
È opportuno dire che la programmazione dipartimento di salute mentale, in Veneto, avvenuta tramite progetti obiettivi, le leggi di accreditamento, definizione di risorse eccetera, rispetto ad altre regioni e più orientata quella di un dipartimento di psichiatria che un vero dipartimento di salute mentale, demandando ad altri soggetti la parte sociale.
La modificazione della domanda di salute, in questi ambiti, rende ormai necessario, se non attuare, almeno sperimentare la dipartimentalizzazione di queste tre aree di intervento, pur mantenendo identità separate delle specialistiche, in particolare garantendone la caratteristica di unità operative complesse.
Questo permetterebbe di aumentare ulteriormente le capacità tecniche specifiche, articolare le risposte in modo non preformato all’utenza, ma contemporaneamente ottenere una sufficiente flessibilità e l’economia di scala.
Per quanto riguarda, ad esempio, la fascia di età preadolescenziale (11-14 anni) e adolescenziale (14-18 anni) esiste un’evidente necessità di intervento che spesso prevede la prosecuzione del trattamento oltre la maggiore età e non raramente si associa all’uso di sostanze: per attuare una presa in carico di questo tipo è necessario predisporre Servizi mirati e competenze che comprendano e integrino in progetti operativi coerenti i saperi di tutte tre le discipline. Permane la carenza, se non l’assenza, su tutto il territorio regionale, di risorse ospedaliere minime necessarie a rispondere, specie nelle situazioni di acuzie, ai bisogni dei minori con una franca psicopatologia. Va quindi superato l’attuale ricorso alternativo ai ricoveri in contesti poco adatti all’età evolutiva, come SPDC o Divisioni di Pediatria, con la creazione di alcuni letti di degenza ospedaliera per ognuna delle nove Aziende socio-sanitarie.
Le tre aree hanno anche in Comune una necessità assoluta di intervento sociosanitario fortemente integrato, non come somma di prestazioni ma come un unicum di offerta. Si tratta in sintesi di affermare la necessità in quest’ambito della presa in carico globale del paziente, della sua storia di vita, della sua famiglia, del suo contesto relazionale e sociale, tenendo conto che la NPIA deve occuparsi di condizioni patologiche neurologiche e psichiatriche in un target di popolazione non omogeneo, che comprende soggetti dall’età della prima infanzia a quella dell’adolescenza matura.
Sempre per esemplificare la labilità del confine tra sociale e sanitario: un piatto di minestra nutre (sociale) ma è anche relazione tra chi la e chi la riceve ed è quindi anche atto di cura (sanitario.)
La situazione attuale delle tre aree nel nostro territorio.
I servizi per le dipendenze sono stati progressivamente impoveriti e ridotti a puri sportelli per la distribuzione di sostanze sostitutive, di selezione per l’invio in comunità tutte a gestione privata o privato sociale. La tipologia dell’offerta e la cultura dei servizi e anche molto differenziata nelle tre precedenti ulss che vanno a unificarsi, sia per le risorse sia per l’approccio tecnico. Va inoltre notata, con l’eccezione di Mirano Dolo una scarsa attenzione e offerta verso la dipendenza alcol correlata e una sostanziale assenza di intervento sulla dipendenza da cocaina: i servizi rimangono collegati all’offerta per dipendenza da eroina ed oppiacei.
Il lavoro di prevenzione, utile soprattutto per l’abuso di cannabinoidi, formalmente a carico del Dipartimento prevenzione viene svolto in modo “ aggiuntivo “dei servizi per le dipendenze.
Questo peraltro avviene anche per la neuropsichiatria infantile e per la salute mentale.
La neuropsichiatria infantile è stata diluita nell’area distrettuale dell’età evolutiva e ridotta a mera attività specialistica ambulatoriale, del tutto insufficiente a rispondere ai bisogni dell’utenza, che necessiterebbe di una serie di articolazioni (ambulatoriali, semiresidenziali, residenziali, ospedaliere) per garantire una diagnosi precoce, una presa in carico multidisciplinare integrata, un intervento terapeutico consono alle condizioni del paziente, una riabilitazione dei disturbi neurologici, psichiatrici e neuropsicologici dell’età evolutiva e delle disabilità dello sviluppo. (vedi Dgr n.1026 del 4.8.2015 e Piano Nazionale di Azioni per la Salute Mentale, approvato dalla Conferenza Stato Regioni il 24.1.2013, che dedica un capitolo specifico alla tutela della salute mentale in infanzia e adolescenza). Non va dimenticato che la maggior parte delle patologie psichiatriche, neurologiche e neuropsicologiche hanno il loro esordio nell’infanzia e che, se non adeguatamente e tempestivamente trattate, possono determinare conseguenze significative in età adulta, sia per quanto riguarda la salute mentale che le condizioni di invalidità e non autosufficienza. Secondo l’OMS colpiscono un bambino su cinque, e rappresentano il 13% del global burden of disease dell’intera popolazione. E’ necessario quindi collocare le U.O. di NPIA all’interno di Dipartimenti sanitari, in quanto l’attuale collocazione nel Distretto risulta inadeguata, a fronte dei bisogni e delle richieste dell’utenza e della complessità e molteplicità degli interventi necessari. Alla luce della recente aggregazione delle Ulss (da 22 a 9) sembra oggi proponibile quanto già avanzato in passato dalla Sezione Triveneta della SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza), e cioè la creazione di Dipartimenti di NPIA che raccolgano in sé gli attuali Servizi per l’età evolutiva, siano essi di tipo diagnostico, riabilitativo o psico-sociale all’interno dei quali potrebbero trovare collocazione anche le strutture convenzionate che si occupano di riabilitazione in età evolutiva con cui risulta indispensabile instaurare una collaborazione. E’ importante pensare, anche per rispondere al principio della continuità terapeutica, che in questo modo sarà possibile garantire omogeneità di procedure e di interventi diagnostico-terapeutici, che risultano oggi del tutto diversificati in ogni singola realtà territoriale, assicurando un reale coordinamento degli interventi di prevenzione, cura, riabilitazione, reinserimento sociale in tutti gli ambiti operativi (ambulatorio, domicilio, semiresidenza, residenza, ospedale). Una scelta di questo tipo potrebbe realizzarsi, almeno in via “sperimentale”, in alcune delle Ulss di maggiori dimensioni (Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Verona).
La salute mentale, grazie alla sua maggiore autonomia, ha potuto usufruire di normative specifiche regionali che hanno definito gli standard minimi di assistenza, e la tipologia dei servizi da attivare, oltre agli standard minimi di personale per l’accreditamento, ma le normative regionali sono state in gran parte del veneto disattese, o come nella nostra zona sono risultate riduttive rispetto a quello che già esisteva per cui si sono attivate riduzioni o chiusure di servizi eccedenti i minimi.
L’inconsistenza di governo dell’assessorato regionale al sociale ha portato a un’assoluta disomogeneità dell’integrazione socio sanitaria: alcuni comuni hanno passato le deleghe alle aziende Ussl, altri le hanno mantenute e si è creato un arcipelago di modalità di rapporto di offerta di servizi assolutamente disomogeneo e con diritti fortemente differenziati fra zona e zona.
Va anche ricordato che l’offerta di servizi deriva dalle precedenti politiche adottate dalle province che erano titolari fino all’833, e che la provincia di Venezia si era dimostrata particolarmente attenta alla creazione di servizi alternativi all’ospedale psichiatrico e convinta della sua irriformabilità, marcando una differenza con resto del Veneto che pur aderendo l’attuazione della legge 180 ha lavorato più all’esaurimento dell’ospedale psichiatrico che alla sua chiusura in termini di negazione dell’istituzione totale.
L’analisi ulteriore delle Usl di Milano dolo e Chioggia porta evidenziare modelli e tipologie di offerta di servizio ancora differenti.
In primo luogo va notato che la definizione dell’offerta di servizio sanitario, ascrivibile ai lea male definisce il diritto del cittadino al trattamento in queste tre aree in assenza di livelli essenziali di assistenza sociale.
E secondo luogo, mentre la riorganizzazione dei servizi sanitari della regione Veneto comprende entrate di finanziamento derivante dal pagamento dei ticket, e anche dalla mobilità attiva questo è improponibile o almeno estremamente improbabile in quest’ambito. I servizi veneziani prevedevano l’esenzione del ticket nei servizi salute mentale, che recentemente è stati introdotti.
Anche ipotesi di assistenza integrativa appaiono assolutamente poco percorribili per svariati motivi.
Rimane di fatto che la decisione di fornire servizi in queste tre aree è fondamentalmente una decisione politica. Non a caso in passato si era definita da quantità minima percentuale della spesa sanitaria da canalizzare sulla salute mentale (ma non per le tossicodipendenze per cui ci si è limitati a definire il budget per le comunità, non per la neuropsichiatria infantile)al fine di finanziare non solo le prestazioni all’utente ma anche attività di prevenzione e lotta allo stigma, è andata progressivamente diminuendo da un iniziale previsto 5% a un attuale previsto 3% che non è attuato in quasi nessuna delle Usl del Veneto che si situa nella graduatoria nazionale della spesa la salute mentale nel quarto inferiore della graduatoria insieme ad alcune regioni meridionali.
Questo è ascrivibile in modo positivo, anche alla scarsa spesa verso privato convenzionato per il ricovero in clinica (frutto del mercato interno controllato) ma anche alla proposizione di un modello operativo che non dà come obbligatoria la presa in carico globale del paziente, consente quindi di limitarsi a un’offerta di ricovero per l’acuzie, ambulatori medici e raramente psicologici, invio in comunità con compartecipazione alla spesa alberghiera (e qui diventa esplosivo il differente atteggiamento delle autonomie locali) e poco altro. Anche centri diurni riabilitativi sono scarsamente rappresentati e con la capacità di accoglimento molto limitata. Per quanto riguarda gli inserimenti lavorativi, già scarsi stante la farraginosità della normativa in merito tra chi è titolare della riscossione dei finanziamenti e chi è titolare dell’erogazione delle prestazioni, la crisi economica ha portato a un loro sostanziale azzeramento, fatto salvo inserimenti a un euro e mezzo allora per lavori assolutamente dequalificati che ricordano drammaticamente le ergoterapie del manicomio. Altro elemento e la difficoltà ad utilizzare in questi ambiti i metodi di valutazione di produttività propri dei servizi puramente sanitari. Se in una chirurgia è logico misurare criteri di efficienza (numero di interventi, durata della degenza, sequele postoperatorie eccetera) in quest’area i criteri di efficienza rischiano di essere fuorvianti se non associati ai criteri di efficacia a loro volta collegati a criteri etici.
Non si può equiparare la riabilitazione in ambito di salute mentale a quella dopo un intervento chirurgico, in quanto essa deve intervenire non solo sulle capacità di autonomia, ma anche sulla qualità della vita del paziente, se necessario, senza alcun limite di tempo.
La definizione di cronicità in medicina, tra l’altro discutibile, definisce cronico un paziente i cui sintomi, dopo un periodo dato, non recedano né si prevede che questo possa avvenire, per la malattia mentale questo modello è improponibile, in quanto quasi tutte le diagnosi necessitano di un trattamento long life, anche se con standard di offerta variabili nel tempo. Si tratta quindi di spostare l’attenzione dalla patologia alla necessità di cura, lungoassistenza, quindi non cronicità.
L’aver stabilito in 15 minuti la durata di una visita psichiatrica non ha alcun significato tecnico se non quello di un’offerta di servizio lontana dal paziente si limita al trattamento psicofarmaco logico con un improbabile controllo dei sintomi in uno spazio clinico insufficiente.
Sta il fatto che in questi anni è aumentato vertiginosamente la spesa per il ricovero in comunità psichiatriche del privato sociale,, per lunghi periodi, nonostante l’abbattimento dei costi unitari, giocati sull’imporre le rette al privato sociale(con conseguente diminuzione della qualità) al punto che la regione Veneto il primo gennaio ha dovuto bloccare l’invio dei pazienti.
Questo è suggestivo per la provincia di Venezia (meno per altre che non si erano particolarmente adoperate nella chiusura degli ospedali psichiatrici) che da più di trent’anni aveva adottato un pensiero di superamento del manicomio e della costruzione dei servizi salute mentale che riconoscano il diritto di cittadinanza paziente, supportino la sua libertà e la sua autonomia, c’è un fortissimo rischio di arretramento tecnico e culturale verso un modello che esclude il concetto di comunità terapeutica e possa proporre quindi in modo surrettizio nuovamente il modello degli ospedali psichiatrici organizzati sul modello del cosiddetto settore, che si dimostrò fallimentare per il superamento dell’ospedale psichiatrico: all’osservazione del manicomio si sostituisce il diagnosi e cura, ai vecchi ambulatori di settore si sostituiscono dei centri di salute mentale tutti orientati al modello medico e alla somministrazione di farmaci, ai reparti per cronici si sostituiscono le comunità.
Il rischio molto concreto è quindi di sostituire l’intervento biopsicosociale con un’offerta di tipo assistenziale, in ultima analisi asilare.
A cura di Fabrizio Ramaciotti e Pierpaolo Perulli
[ Atto N° 2850 Senato ] Nuova proposta di legge sulla tutela della salute mentale